Claudia Brignone, documentarista napoletana, vince il premio per miglior autoproduzione al NapoliFilmFestival e il premio Signum (documentario più votato dal pubblico) al Salinadocfest con il suo documentario La malattia del desiderio.

 

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Claudia, di cosa parla La malattia del desiderio?

Il mio documentario parla del SER.T – servizio per le tossicodipendenze – di Fuorigrotta. E’ un luogo davvero particolare, perché è situato sotto la curva A dello stadio San Paolo. In questo posto la domenica si accalcano migliaia di tifosi e pochi sanno, invece, che proprio lì c’è un luogo che custodisce le storie di medici e pazienti.

Raccontaci della tua esperienza al SER.T.

L’ho frequentato per ben due anni. All’inizio non è stato facile farmi accettare. Poi pian piano sia i medici che i pazienti si sono abituati alla mia presenza e affezionati alla mia causa. Mi sono messa lì, intere giornate, con la mia videocamera a girare ore e ore di filmati, a raccogliere le esperienze dei pazienti, a registrare le voci di chi ogni giorno cerca di guarire dalla sua dipendenza mortale, che è appunto definita dai medici “la malattia del desiderio”.

Hai vinto il premio come migliore autoproduzione al NapoliFilmFestival e poi il Premio Sigum (documentario più votato dal pubblico) al Salinadocfest. E’ stato difficile girare questo documentario con poche risorse?

Sinceramente sì, è stato molto difficile. I primi tempi soprattutto: a qualunque porta bussassi ricevevo sempre un no in risposta. Poi, durante questi tre anni di riprese, ho incontrato persone che hanno creduto nel mio progetto e che, senza essere retribuiti, hanno prestato la loro professionalità per far sì che potesse finalmente prendere forma.

C’è un momento particolare di questi tre anni che ricorderai con più affetto?

Più che un momento, c’è una persona: Giuseppe, uno dei pazienti del SER.T. Questo documentario mi ha letteralmente travolto: non sapevo quando avrei smesso di filmare, quando avrei potuto dire finalmente “basta così”. L’ha detto Giuseppe per me, un giorno quando è venuto a mancare. La sua malattia del desiderio l’ha sopraffatto: è stato in quel momento che ho capito che era abbastanza, è stato in quel momento che mi sono resa conto che “la mia malattia del desiderio” doveva trasformarsi in qualcos’altro.