Pino Sondelli, regista e direttore della fotografia nonché docente presso l’Accademia di Belle Arti di Nola, è da anni promotore dell’incontro degli Special workshop day organizzato all’ABAN per gli allievi del triennio di Laurea in Cinematografia, Regia e Fotografia. Il titolo del workshop di quest’anno, al quale prenderà parte anche Loredana Rotondo, autrice, regista e programmatrice radiotelevisiva, è “La storia siamo Noi…da raccontare a Voi” in cui verrà trattato il mutare della comunicazione negli ultimi cinquant’anni.

Come nasce l’idea di questo workshop?
L’obiettivo del workshop è quello di far comprendere ai ragazzi che cosa significa il termine “comunicazione” e in che modo questa si è evoluta nel corso degli ultimi 50 anni. Voglio dare loro una concreta esperienza visiva del campo di battaglia nel quale loro un giorno si troveranno a combattere. L’incontro oltre ad essere un momento di crescita personale per gli allievi, è soprattutto un momento di dibattito e di scambio; io cerco infatti sempre un contatto diretto e autentico con il mio interlocutore: è solo con il guardarsi negli occhi che si può davvero comunicare qualcosa.

Quali sono le novità di questo settore e in che modo si rapporta ad esse?
Certamente l’avvento della digitalizzazione e la conseguente velocità del cambiamento hanno modificato il linguaggio e l’approccio rispetto alla settima arte, ma il criterio resta il medesimo. Sono sicuramente entusiasta della nuova tecnologia, questa per esempio nel cinema come nella fotografia ha fatto sì che fosse possibile gestire una scena o un’immagine in maniera immediata e più semplice. Tuttavia in questo modo è inevitabile la parziale perdita di contatto con l’arte stessa e con il suo significato emozionale più profondo. La fotografia, per esempio, non è altro che l’ombra del nostro stato interiore. L’ombra è nascosta dentro di noi e viene fuori quando si guarda un’immagine che, trasmettendoci una determinata emozione, colora quella stessa ombra. La scelta di una fotografia dunque non è distaccata o esclusivamente visiva, ma ha un significato ben preciso: evidenzia un aspetto caratteriale di un personaggio e un suo particolare aspetto cromatico. Poche persone oramai sanno trasmettere questi messaggi ed è per questi motivi che non smetto mai di mostrare ai miei allievi l’odore di una pellicola o di portarli nella “camera oscura”, di insegnargli la storia e le origini della fotografia.

Cosa consiglierebbe ad un ragazzo che vuole intraprendere questo mestiere?
La prima cosa che consiglio ai miei allievi, e che consiglierei a qualsiasi giovane interessato a seguire questa strada, è certamente quella di avvicinarsi a questo mondo solo se spinti da una reale e grande passione. Sono quarantadue anni che faccio questo lavoro e se non fossi spinto da una forte passione non potrei avere tutt’oggi la forza e l’entusiasmo per continuare. Quindi cari ragazzi: amate l’arte e il vostro lavoro e non smettete mai di sperimentare e imparare cose nuove. Non fatevi però abbindolare dal potere delle tecnologie che spesso ci rendono schiavi, siate consapevoli e coscienti dell’utilizzo di queste nuove conoscenze, che non sono altro che il prodotto della mente umana e quindi soggette al nostro controllo. Il domani infatti sarà quello che Noi, e più di tutti Voi , deciderete di trasformare.

Perché ha scelto di fare questo mestiere?
C’è un momento particolare che ricordo con ardore, in cui mi sono reso conto che questo sarebbe stato il lavoro e soprattutto l’amore della mia vita. Avevo dodici anni quando m’innamorai del gesto di un mio parente. Mi trovavo in una stanza buia, la “Camera Oscura”; lì una luce rossa mi permetteva di ammirare la magia fatta di piccoli fogli bianchi che in pochi istanti, immersi in vasche riempite di liquidi formati con sostanze chimiche, si trasformavano in straordinarie immagini. Da quel momento sono rimasto così colpito che con gli anni ho deciso di fare di una passione un lavoro e dopo quarantadue anni sono ancora qui ad emozionarmi mentre parlo di cinema e di fotografia.

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