Prima lezione dell’anno al Master in Cinema e Tv per lo sceneggiatore Andrea Garello, romano, autore di film apprezzati dalla critica e dal pubblico: uno per tutti, “Smetto quando voglio”, divenuto un cult. Garello regala una lezione illuminante sul mondo della sceneggiatura e su tutte le complicazioni che si nascondono dietro l’idea romantica che spesso ci facciamo su questo mestiere.
“Il prerequisito fondamentale per riuscire nel lavoro della scrittura del film – spiega lo sceneggiatore – è non solo avere una grande passione per la scrittura, ma anche la capacità di reinventarsi giornalmente”. A questo proposito Garello sorride divertito ricordando quando, per necessità, dovette cominciare a scrivere soap opera lasciandosi alle spalle tutto quello che aveva imparato sulla scrittura per immagini. “Perché con le soap cambiava tutto? Perché il cinema è l’arte del non detto, in cui cioè tutto deve essere spiegato essenzialmente con le immagini. Viceversa le soap e le telenovelas hanno bisogno di spiegare tutto con le parole: ogni informazione e ogni sentimento. Lì tutto è nei dialoghi. In pratica è il contrario del cinema”.
Un altro punto fermo del lavoro dello sceneggiatore è la capacità di collaborare: “Capita spesso che uno sceneggiatore si innamori delle proprie storie non tenendo conto della fantasia del regista o delle interpretazioni degli attori. È proprio per questo che è necessario scrivere i copioni in gruppo, almeno in coppia. E poi è fondamentale essere aperti rispetto alle idee che provengono dal regista e dagli stessi attori”. “Bisogna insomma scrivere consapevoli di far parte di un gruppo – continua Garello -. Non a tutti può piacere il tuo lavoro ed è importante saper rinunciare a qualcosa che inizialmente ci piaceva nel proprio script. Detto ciò, non bisogna neanche fidarsi però delle critiche un po’ superficiali che a volte possono arrivare, come ad esempio tutte le volte che i produttori dicono agli sceneggiatori di commedie, semplicemente, <nun fa ride’> a proposito di una determinata situazione descritta in sceneggiatura senza il minimo desiderio di fare ridere”.
Bernardo Bertolucci affermava che il cinema ha più affinità con la musica e la poesia che non alla letteratura e al teatro. “Con tutto l’amore per Bertolucci, non sono d’accordo. Il cinema è sicuramente emozione ma è soprattutto ‘racconto’, affabulazione. Abbiamo bisogno di una storia che va ben narrata allo spettatore”.
Attraverso che strade una sceneggiatura può essere trasformata in un film da una casa di produzione? “Le strade sono essenzialmente due. Lo sceneggiatore può proporre la sua storia ad un produttore, che puntualmente chiederà se lo stesso sceneggiatore è in contatto con un regista che giri il film. Se la risposta è negativa, allora è molto probabile che il progetto sia scartato poiché le case di produzione non hanno alcuna voglia di mettersi a cercare un regista, e quindi desiderano piuttosto avere bell’e pronto un pacchetto sceneggiatore+regista. In altri termini, meglio presentarsi a un produttore già insieme con un amico regista che crede in quel progetto. Quando invece è il produttore a proporre il progetto allo sceneggiatore, ecco che questi è chiamato a collaborare con un team molto più vasto, spesso appartenente alla stessa casa di produzione, che propone appunto il soggetto allo sceneggiatore, incaricato di svilupparlo”.
Quando arriva il successo? “Certo non con la prima sceneggiatura. Parliamo di un lavoro che richiede più gavetta di altri. Capiterà spesso di voler rinunciare e di non riuscire ad emergere per molto tempo. Ma è importante ricordare che nessun grande scrittore è diventato tale rinunciando”.
Gaia De Angelis