Rino Sciarretta è al Master in cinema e televisione per raccontare la sua esperienza di produttore indipendente. La sua Zivago Media ha già prodotto 12 documentari di grande pregio e desiderio di sperimentazione (come “Il Silenzio di Pelesjan” di Pietro Marcello e “Dustur” di Marco Santarelli) ma anche lavori di finzione, sempre a carattere innovativo (come il recente mockumentary di Luigi Barletta “Il Toro del Pallonetto”). “Prima di misurarmi con la produzione – racconta – ero un giornalista, vivevo a Mosca, e cominciai a occuparmi di distribuzione: acquistavo film russi e francesi per poi rivenderli alla televisione italiana. Successivamente ho fondato la Zivago Media”.

Come sceglie i film da produrre?

“Scelgo in base all’interesse che ho per la storia. Fare una produzione senza interesse o voglia non ha senso. Inoltre la cosa fondamentale è riuscire a trovare uno sbocco per quel prodotto. C’è bisogno di un pubblico interessato”.

Quanto è importante la creatività nel suo lavoro? 

“Un produttore deve necessariamente dare un apporto intellettuale oltre che finanziario. Il prodotto non può essere solo facilmente vendibile, deve essere affascinante e per rendere un prodotto affascinante c’è bisogno di creatività. Ovviamente deve intrigarmi l’idea e deve essere vicina al mio modo di vedere il mondo”.

 Come si decide a chi proporre un film? 

“Gli sbocchi principali in genere sono i festival, che danno sempre molta visibilità. Tutti i festival europei contengono ad esempio una sezione ‘pitching’, in cui cioè si può esporre un proprio progetto a voce a un gruppo di produttori lì convenuti. Se il pitching va a buon fine, ci sarà un produttore che aggiunge un tassello in più nella costruzione sia del piano finanziario sia di quello creativo: infatti un produttore che si associa al progetto ti consente di confrontarti con un’altra realtà anche dal punto di vista dell’inventiva”.

Qual è il modo migliore per fare un “pitch”? 

“Il modo migliore per presentare un’idea a voce? Per paradosso, è avere le idee chiare. E poi non basta soltanto l’idea-progetto: bisogna infatti aver chiaro anche il pubblico a cui il film sarà rivolto”.

Cosa pensa della tv? 

“Attualmente la trovo dannosa e fondata su una sottocultura. E’ come standardizzata. Penso che oggi il mezzo di comunicazione più libero sia il web: c’è molta pluralità e vi si possono trovare cose straordinarie che in tv non troveremo mai”.

In cosa consiste il documentario? Pensa che in tv funzioni meglio che al cinema? 

“Il documentario è una forma diversa di fare cinema ed è necessaria in questo momento tanto in tv quanto al cinema. Io, per esempio, al cinema riesco ancora a commuovermi. Con la tv invece ho la sensazione di guardare un semplice oggetto domestico, come un cellulare o un tablet. Lo spettacolo cinematografico è decisamente più emozionante”.

Come si trovano finanziamenti per progetti innovativi? 

“Esistono finanziamenti messi a disposizione attraverso le Film Commission delle diverse regioni italiane. Ci sono poi finanziamenti offerti dall’Unione Europea, come ad esempio quelli del programma Creative Europe”.

Cosa pensa dei giovani filmmaker? 

“Il loro lavoro si sta evolvendo, e a mio parere in positivo. Oltre al facile accesso ai mezzi per poter filmare, oggi i giovani hanno anche molte capacità. Il fatto che si possa realizzare un film anche con un cellulare è stimolante. Ed è la prova che, quando c’è alla base un’idea che funziona, non c’è neanche più bisogno di belle immagini. E’ vero che è già stato quasi tutto raccontato, ma di modi diversi per raccontarlo ce ne sono ancora infiniti. Al centro c’è il punto di vista di chi racconta. Se il cinema è arte, ciò è vero proprio perché è il riflesso dei pensieri di chi osserva il mondo”.

Immacolata Petricciuoli e Gaia De Angelis

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